Tuesday, May 6, 2008

Presenze letterarie

Ecco alcune presenze dei nostri giocattoli nella letteratura italiana della seconda metà del Novecento (fonte: Tullio De Mauro (a cura di), Primo Tesoro della Lingua Letteraria Italiana del Novecento, Torino : Utet, 2007)

(I numeri indicano le pagine)

neve fuligginosa si scioglievano sotto gli immensi
serbatoi rossi del gasometro, nel macello muggivano
buoi, nitrivano cavalli, belavano agnelli, e al vento
si alzavano frusciando gli aquiloni inghirlandati fra
i campanili e le ciminiere. Dopo ogni colpo sulle
incudini gli operai lasciavano saltellare i ferri per
giuoco, suscitando squilli leggeri, smorzantisi fino

(Angioletti, La memoria, 5)


Il primo treno di buoi entrava sibi-
lando nel macello. Nel cielo pallido e celeste si
alzavano gli aquiloni, tubavano le colombe, e dai
marciapiedi i ragazzi facevano lampeggiare con gli
specchi raggi di sole sui volti delle donne ai davan-
zali. Frotte di gente correvano tra confusi clamori

(Angioletti, La memoria, 19)


le guglie della Cattedrale, bianche, diafane, in
mezzo a una schiera di ciminiere fumanti per tutto
l'orizzonte. Oscillavano, piccoli ormai come fazzo-
letti, gli aquiloni nel vento, giungeva a tratti la
musica di una giostra, si udivano gli spari dei sol-
dati contro i parapetti erbosi di un bersaglio. Allora
un vago rimorso, un misterioso affetto mi prendeva

(Angioletti, La memoria, 156)


creare la città nella felice aerea libertà di una bolla di
sapone, luminosa, iridata dei colori delle donne e delle
vetrine, quei mandati di cattura parevano salire, leggeri
come aquiloni, a far carosello in cima alla colonna an-
tonina. Era quasi l'ora. I due si infilarono nel sottopassaggio:
e nel flusso variopinto fatto piú vivido dalla cruda luce

(Sciascia, Il giorno della civetta, 122)


una fiocina come quella delle balene: lui invece ha fatto
venire tutti i bambini del paese lí vicino, e ha messo un
premio di dieci rupie per quello che era capace di far volare
un aquilone fin sopra l'altra sponda. Un bambino c'è riu-
scito, lui gli ha pagato il premio, e non si è buttato via
perché sono millecinquecento lire; poi allo spago dell'aqui-
lone ha fatto annodare una cordicella piú grossa, e cosí via

(P. Levi, La chiave a stella, 109)


questo appariva costellato di dormienti, di gente in-
tenta a spidocchiarsi, a rammendarsi gli abiti, a cuci-
nare su fuochi di fortuna; e animato da gruppi piú
vitali, che giocavano al pallone o ai birilli. Al centro,
dominava una enorme baracca di legno, bassa, quadra-
ta, con tre ingressi tutti sullo stesso lato. Sui tre ar-
chitravi, in grossi caratteri cirillici tracciati col minio

(P. Levi, La tregua, 151)


a divertirsi la figlia. Quanto a Perrone non aveva occhi
che per Monica. Monica sparava e prendeva nel segno;
scherzava in dialetto coi saltimbanchi; gettava palle; but-
tava in terra birilli; pescava alla pesca meravigliosa.
Volle persino provare la forza del suo braccio sul dina-
mometro. Si vedeva che la musica la esaltava e i lumi
l'abbagliavano. Con impeto di ragazzo ella si divincolava

Moravia, I racconti, 396)



- Da principi, - disse Pieretto, - da signori feudali. Quel che ci vuole sul Greppo.
Poi Gabriella si raggomitolò sulla poltrona, e ci ascoltò discorrere
e non chiese né le carte né la musica. Fumava e ascoltava, ci guardava
a uno a uno e sembrava sorridere. Venne da bere e non ne volle.
Io guardavo la faccia di Poli e mi chiedevo cosa fossero state le
sere del Greppo quando lui e Gabriella ci stavano soli. Dovevamo pure

(Pavese, La bella estate, 195)


tempi qui era campagna, strade aperte e campagna.
- Le cose che facciamo sono proprio brutte, - dissi a Febo.
Lui cercava d'eccitarsi e trovar buono il vino. La ragazza,
coi suoi occhi rossi, ci guardava dal banco.
Gli altri adesso giocavano a carte, fumando e sputando.
Finita la frittata, gli dissi d'andarcene. - Eppure dev'esserci un
posto... - diceva lui. Uscimmo ch'era buio. Sulle insegne rosse al

(Pavese, La bella estate, 294)


tutto il ponte, con la scucchia sulla spalletta di ferro ar-
roventato, si stettero per un pezzo a guardare i fiumaroli
che prendevano il sole sul galleggiante, o giocavano a
carte, o facevano il correntino. Poi dopo aver litigato un
po' sull'itinerario, si riattaccarono al vecchio tram mezzo
vuoto che scricchiolando e raschiando andava verso San
Paolo. Alla stazione di Ostia si fermarono camminando

(Pasolini, Ragazzi di vita, 9)


piano piano ci s'accosta. In mezzo al gruppo di tredici o
quattordici persone e gli ombrelli lucidi, era aperto un om-
brello molto più grande del comune, nero, con sopra messe
in fila tre carte, l'asso di denari, l'asso di coppe e un
sei. Le mescolava un napoletano, e la gente puntava
sulle carte cinquecento, mille e anche duemila lire. Il
Riccetto se ne rimase lì per una mezzoretta a guardare

(Pasolini, Ragazzi di vita, 28)


continuavano a girargli intorno come seguendo una
filastrocca e Zagreus sapeva perfettamente che aspet-
tavano il momento giusto per ucciderlo. Guardò i gio-
cattoli che lo attorniavano: una trottola, bambole ar-
ticolate, pomi d'oro, una pigna, uno specchio. Allungò
la mano verso il piccolo specchio e si guardò. Vide
un'" immagine spuria ", un'altra faccia bianca. Rico-

(Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia, 342)


chi si svolgevano secondo un rigoroso ciclo che coincideva
con quello delle stagioni: d'estate si faceva il gioco della
campana, quello dell'orologio in primavera, in autunno si
svolgevano le lunghe e complesse gare di trottola, veri e
propri tornei, con gironi distinti a seconda della grandezza
e del tipo delle trottole e anche della qualità del legno con
cui erano state costruite. Autunnale era anche il gioco delle

(Dessì, Paese d’ombre, 104)


servendosi del suo affilato coltello da tasca. Le tagliava a
metà, le sfaccettava in modo che avessero, approssimativa-
mente, quattro lati e su ogni lato imprimeva con il lapis co-
piativo quattro lettere maiuscole; piantava in ogni trottola
un mezzo stecchino per farla prillare, e così tutto era pronto
per il gioco che si usa fare in Parte d'Ispi con le mandorle
abbrustolite usate come gettoni - un gioco da bambini e da

(Dessì, Paese d’ombre, 113)


come piovuto dal cielo, nero e secco e col dolce sorriso,
a soccorrere, a dar buoni consigli, a prevenire violenze
e peccati.
Pamela stava sempre nel bosco. S'era fatta un'alta-
lena tra due pini, poi una piú solida per la capra e un'al-
tra piú leggera per l'anatra e passava le ore a dondolarsi
assieme alle sue bestie. Ma a una certa ora, arrancando

(Calvino, Il visconte dimezzato, p.90)


ballando alla poppa della barchetta: sotto il verde dei
platani il muraglione cominciava a comparire in tutta la
sua lunghezza da Ponte Sisto a Ponte Garibaldi, e i ra-
gazzi sparsi lungo la riva, chi all'altalena, chi al tram-
polino, chi sulla zattera, rimpicciolivano sempre più e
non si potevano più distinguere le loro voci.
Il Tevere trascinava la barca verso Ponte Garibaldi

(Pasolini, Ragazzi di vita, 22)


guardiamo in basso la piana notturna costellata di lu-
ci. Scendiamo pochi gradini e ci troviamo in uno slar-
go di ciottoli, al centro qualche gioco da bambino.
Un'altalena cigola mossa dalla brezza che batte quel-
l'altura, c'è buio, solo il campanile dalle guglie roma-
niche spunta illuminato tra i tetti neri. Seduti su una
panca di pietra, guardiamo davanti a noi il cavallo di

(Mazzantini, Non ti muovere, 115)


Non ridevo: sorridevo soltanto, senza rendermene con-
to. Non avevo piú avuto niente a che fare con le coppie
coniche fin da quando, a tredici anni, avevo smesso di gio-
care col Meccano, e il ricordo di quel gioco-lavoro solitario
e intento, e di quella minuscola coppia conica di lucido ot-
tone fresato, mi aveva intenerito per un istante.
"Sa, sono una roba molto piú delicata degli ingranaggi

(P. Levi, La chiave a stella, 146)


un pavimento di gomma bianca ed erano custoditi
da una sorvegliante dal naso a punta. Essi han-
no continuato tranquillamente nel loro gioco, una
specie di meccano dai pezzi sparsi. Li ho guar-
dati attentamente: a dispetto dei loro grembiulini
celesti e rosa avevano l'aria non di bambini ma di
adulti. I maschi mostravano negli occhi una violen-

(Parise, Il padrone, 126)


ancora rossi di pianto, e delle parole da adulto che
egli stesso le aveva rivolto per consolarla, sorreg-
gendole il braccio nei viali del camposanto, l'aveva
poi invitata, insistente, imperioso, alla pista delle au-
tomobiline. Ella aveva saputo trattenersi proprio
quando, presa dalla sua allegria, stava per salire
i tre gradini del baraccone. Era stato il gesto spon-

(Pratolini, Un eroe del nostro tempo, 24)


della verniciatura, e subito si è fatto premuroso per
accompagnare il suo ospite, collega, superiore: era
incerto. Le piccole carrozzerie delle calcolatrici come au-
tomobiline scivolano sui rulli del rapydstan, com-
piendo un tragitto di montagne russe, di curve, di
rettilinei: durante il percorso vengono verniciate,

(Ottieri, Donnarumma all’assalto, 28)


piatti. Non si turbi il vostro cuore, sta scritto.
Barbara ha appena mandato a letto Irene e Angela,
che frignavano di sonno, dopo aver loro promesso di
portarle l'indomani sul lago con lo slittino, visto che son
troppo piccole per sciare, e sta dicendo "refo" perché al-
l'inizio di mano si ha facoltà, quando ci si trova ad avere
brutte carte, di proporre agli altri di rifare ossia di rime-

(Magris, Microcosmi, 192)


solo mettersi in calzoni, come esigeva lo sci, sebbene alcune
nei primi tempi sciassero in gonnella a pieghe o a godet.
Per far parte del gruppo bisognava possedere un paio
di sci o almeno una slitta. La slitta l'avevo, comperata dal
figlio di un ferroviere svizzero. Gli sci li acquistai più
tardi a buon prezzo dall'Opera Nazionale Balilla, che ne
aveva messo in circolazione un tipo comune, molto pesante,

(Chiara, L’uovo al cianuro, 113)